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La città plurale. Sfide per un nuovo umanesimo

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Autore: Stefano Ceccatelli

Interessantissimo incontro mercoledì 7 febbraio allo Spazio Iris (Spazio Reale) di Campi Bisenzio con la presenza del filosofo Massimo Cacciari, del teologo Piero Coda (rettore dell’Università Sophia di Loppiano) e dell’Arcivescovo di Firenze Giuseppe Betori. Faceva gli onori di casa Don Giovanni Momigli.

Dopo una breve introduzione dell'Arcivescovo, che si è soffermato in particolare sulla natura dell'Umanesimo rinascimentale fiorentino, ha preso la parola Massimo Cacciari.

L'argomento era molto attuale e stimolante: il titolo recitava: "La città plurale. Sfide verso un nuovo umanesimo"

Cacciari ha preso le mosse dal concetto di città e dalle realizzazioni che del concetto di città si sono date nel corso dei secoli. Di fatto, ha affermato, si sono avute, storicamente, solo due tipi di città: la polis greca e la civitas romana. La prima era un'unità sostanziale, legata al genere, lo Stato lì prevaleva sul cittadino. Si era cittadini in quanto appartenenti a quella data etnia (come si direbbe oggi), mentre gli stranieri erano esclusi dalla cittadinanza. Una democrazia teorica la polis, quindi. Tutto diverso nella civitas romana, in cui si era uguali davanti alla legge, a prescindere dall'appartenenza etnica. Qui non contava la provenienza geografica, ma solo il rispetto delle leggi. Di fronte alla legge romana i cittadini erano tutti uguali.

 

 

Le città del nostro Umanesimo rinascimentale Firenze compresa, ha sostenuto Cacciari,  erano città del primo tipo, per quanto diversi umanesimi convivessero a vari livelli  nelle cerchie culturali della città.

Ma non esisteva l'apertura al diverso da noi o comunque tale apertura rimaneva ristretta ad un numero troppo ristretto di persone.

Ed oggi? Una prospettiva per il futuro delineata da Cacciari è quella del "condominio", con le relative "guerre condominiali" estese a livello globale. Uno scenario in cui i vari popoli  finiscono con il non condividere più prospettive ed ideali comuni. E' la società globale dove si è smarrito il senso stesso del bene comune e pertanto si sceglie di essere immuni gli uni gli altri; è la società dove non ci si tocca, o comunque dove si cerca di evitarsi perchè altrimenti sarebbero guai.

Ci sono alternative a questo scenario apocalittico? Uno solo, a suo dire, ma intanto, suggeriva pensando alla situazione fiorentina in particolare, smettiamo di essere anacronistici: che senso ha continuare a chiedersi "moschea si moschea no" in un’Europa che nello spazio di una generazione sarà abitata da una maggioranza di persone di fede musulmana, come ci certificano i demografi?

Il futuro è necessariamente plurale e allora cominciamo subito a immaginare una città che sia davvero "a misura di tutti".

Cacciari intravede solo uno scenario positivo possibile e augurabile: l'unità nella diversità. Essa implica molto più che la tolleranza del diverso, presupponendo infatti qualcosa di molto simile all'amore per il diverso da me. Cacciari l'ha spiegata così: "Come uno come me, di cultura occidentale ed europea, ritiene oramai scontato il diritto di farsi una scala di valori e di vederseli rispettati dalla società che sta d'intorno, così bisogna accettare che una persona di cultura altra dalla mia faccia altrettanto. Ed è necessario rispettare, se non addirittura amare, questa sua diversità,  questa sua gerarchia di valori, che è generatrice di ricchezza. Il tutto ovviamente in un’ottica di unità della famiglia umana.

Questo è solo apparentemente relativismo. In realtà è rispetto reciproco.  Cacciari ha ricordato che i medievali alla domanda: Quid est veritas? rispondevano anagrammando "Ver qui adest" ossia  "La verità è il vero che ci sta di fronte". La realtà ci interpella quindi e ci sfida e ci sprona a dare le risposte adeguate al tempo che stiamo vivendo. Ognuno di noi sia civis futurus (cittadino del futuro), come diceva Sant’Agostino, per quanto ben radicato nel presente.

Sul tema del relativismo ha preso la parola il teologo Piero Coda , che ha sottolineato come Cristo sia al tempo stesso Via Verità e Vita. Che c'entra questo con le sfide della città da costruire? E come dovrà essere questa città del domani?

Prima di tutto, ha spiegato Coda, non dovrà essere esclusa la trascendenza da questa città e quindi ci dovrà essere spazio per il sacro e per ogni persona che abbia un riferimento religioso. E’ tutt’altro che relativismo. E’ Amore per gli altri fratelli. I cristiani dovranno arrivare ad amare gli altri fratelli, nella riscoperta piena delle comuni origini umane, al punto da perdere anche la loro verità per amore, ed in questo perdere la verità per amore vivranno la Verità e Gesu’ stesso si renderà visibile attraverso il loro amore reciproco. Si vede bene che qui la verità non è un concetto astratto ma una persona precisa. E', come ha suggerito una domanda di un partecipante al convegno,  una verità crocifissa.

E' un cammino (via) quindi e un cammino di vita, quello che i cristiani devono percorrere. E la meta di tale cammino è la verità. Pur nella consapevolezza che, su questa terra, essa ci sfuggirà sempre: se la comprendi non è Dio (San Tommaso).

E comunque, ha chiosato Cacciari, la verità è essa stessa qualcosa che diventa, qualcosa che si compie, tant’è vero che, nei Vangeli, viene usata l’espressione, davvero inusuale, “fate la verità”.

La conclusione è stata affidata al rettore dell'Università Sophia. Quali sfide ci stanno davanti per giungere ad obiettivi così alti?

Ne ha individuate due.

La sfida dell'oltre. L'oltre, la capacità che l'uomo ha di autotrascendersi, "trasumanar" per dirla con Dante, cogliere quelle intuizioni spirituali che ci spingono a rischiare, il coraggio di osare, per un credente ascoltare la voce dell'amore che parla nelle profondità della coscienza.

E l’altra: la sfida che viene dal basso; lasciarsi interpellare dalle richieste del povero, ascoltare le voci che giungono dalle periferie del villaggio globale, degli indignati a vario titolo, da quelle dei senza fissa dimora, dei profughi e dei rifugiati. Per un credente, è l'opzione dei poveri.

In conclusione, un incontro che ha dimostrato che la crisi che stiamo vivendo è anche, forse soprattutto, una sfida di valori. E che discipline che non molto tempo fa venivano bollate sprezzantemente come “astratta metafisica” hanno molte luci da offrire in un tempo di notte culturale.

Ultimo aggiornamento Martedì 14 Febbraio 2012 22:18