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Libia: qualche riflessione, molte domande, poche risposte

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Autore: Flavio Gori

 

Nelle prime settimane del 2011 avevo deciso di dedicare un po’ di tempo a Twitter. Fino ad allora le mie incursioni su questo spazio web erano state limitate e sporadiche, ma visto l’interesse che in tanti sembravano riporvi, decisi di concedergli più tempo. Ovvero, seppure a sprazzi, circa l’intera giornata per diverse settimane.

Sotto certi aspetti devo dire di essere stato fortunato perché dopo pochi giorni arrivarono le sommosse dell’Africa Settentrionale e dal punto di osservazione dei tweet sembrava di esser nel luogo dove le cose avvenivano, dovunque esso fosse.

Un aspetto interessante, forse anche inebriante perché, come spesso riportavano tv, radio, giornali e blog, l’informazione via Twitter arriva dal produttore (chiunque e dovunque esso sia) al consumatore senza intermediazioni. Oltretutto arriva subito e non dopo un certo periodo di tempo, in quanto non ha bisogno di aspettare alcun tipo di incubazione, nè i rigidi palinsesti imposti dalle regole del information business talvolta inestricabilmente interconnesso con tutti gli altri business dei mezzi grazie ai quali viaggia l’informazione.


Sono bastati pochi giorni per vedere che quanto affermato da chi scriveva sull’Egitto e la Tunisia sembrava in effetti verificarsi, almeno apparentemente, in quanto le masse di protestanti e/o insorti scese in piazza riuscivano a coinvolgere corpi di polizia e dei vari eserciti, tanto che i presidenti di Tunisia ed Egitto furono costretti a far le valigie e tirarsi da parte. A dirla tutta verrebbe da porsi qualche domanda sulla perfino sospetta facilità e rapidità con cui le piazze hanno avuto ragione di regimi fino a poche ore prima definiti ben saldi dalle diplomazie occidentali. Oppure verrebbe da chiedersi su che tipo di intelligence tali diplomazie possono contare.




Poi è stata la volta della Libia e anche qui, dopo un po’ di pazienza nel ricercare le fonti, abbiamo tutti ricevuto valanghe di messaggini dai quali si capiva che la rivolta di massa era arrivata nelle maggiori città libiche, con la popolazione in piazza a dire basta al colonnello Gheddafi e le sue politiche dittatoriali. La tempesta di tweet era anche in questo caso molto grande e dava la sensazione di una rivolta di popolo, in questo caso bisogna dire che le notizie che twitter catapultava nei nostri computer apparivano in qualche modo supportate anche dalla tv del Qatar, Al Jazeera.

Il supporto mediatico di Al Jazeera,almeno all’epoca in attesa fremente di poter trasmettere anche negli Stati Uniti - per questo via Twitter giungevano messaggi pubblicitari con i quali la tv chiedeva supporto da parte degli utenti di Twitter riguardo alla richiesta di poter trasmettere in USA - a differenza delle esperienze tunisine ed egiziane, in questo caso c’era però qualcosa che non coincideva con i tweet: i molti tecnici italiani che rientravano in patria a seguito della “rivolta popolare” davano testimonianze che non coincidevano con ciò che Al Jazeera e i tweet riportavano: “dov’ero io non si è visto niente del genere”, era un po’ il leit motiv degli italiani intervistati nei vari aeroporti.


Si poteva pensare che abitassero in aree remote, in cui la rivolta non fosse arrivata in quanto concentrata nelle maggiori città, ma qualcosa di strano era nell’aria e andava a concretizzare le dichiarazioni dei dirigenti libici che invitavano i giornalisti stranieri ad andare in Libia per rendersi conto di persona di quale fosse la reale situazione.

Cosa stava accadendo? Per la Farnesina e buona parte delle Cancellerie occidentali non vi erano dubbi: la rivolta era in atto e il regime libico sparava senza pietà sulla popolazione, tanto da aver provocato, come asserivano alcuni twitters, almeno 10.000 morti e 50.000 feriti. Tali numeri venivano ripresi anche dal nostro ministro degli esteri Franco Frattini, apparentemente prendendo per buoni i messaggi della web community.

In effetti questi numeri li avevo letti anch’io nel messaggini di twitter ma non avevo alcuna assicurazione della veridicità di tali messaggi, nè di chi fosse a scriverli, nè di dove gli scriventi in effetti si trovassero fisicamente. Dato che i testimoni rimpatriati davano ben diverse notizie, pensavo che una certa cautela fosse d’obbligo, ma una volta che il ministro degli esteri in persona concede credibilità a questi messaggi via twitter, viene da pensare che anche le nostre fonti di intelligence sul territorio le avessero confermate, o non fossero state prese in considerazione.

La cronaca dei giorni successivi ci ha detto che così non era.


E da lì sono iniziati alcuni dei giorni meno fortunati per la nostra diplomazia che si è ritrovata in un pantano di sabbie mobili in cui da un certo momento in poi, qualunque passo avesse fatto in qualunque direzione (pro o contro Gheddafi, pro o contro le scelte a quel punto già poste in essere dalle altre potenze occidentali), ci avrebbe messo in una posizione critica sia rispetto al governo libico con cui avevamo da pochi mesi stretto alleanze “di ferro” - ricordiamo che fra gli accordi bilaterali col Paese di Gheddafi, l’Italia si impegna a: “non usare né permettere l’uso dei propri territori in qualsiasi atto ostile contro la Libia” - ma poi di fatto buttate alle ortiche alla prima occasione, sia con gli alleati occidentali che non si erano preoccupati di coinvolgerci né nelle loro decisioni politiche, né in quelle sul campo. In poche parole possiamo dire che erano bastatati pochi giorni di disattenzione ed eravamo stati estromessi dal teatro libico dopo un centinaio  di anni di controllo quasi completo e mai lasciato al caso.

Un bel guaio per i nostri molteplici interessi con la Libia (in terra africana e italiana) passati, presenti e soprattutto futuri e certo non uno dei migliori esempi di perizia da parte della nostra diplomazia che si è paradossalmente compiuto proprio nel Paese che meglio avremmo dovuto conoscere. Com’è potuto succedere?


Conoscere gli anfratti di questioni legate all’intelligence è molto difficile, direi impossibile se non siamo all’interno, ma possiamo provare a capire qualcosa di più basandoci su ciò che abbiamo osservato dall’esterno.

La prima cosa certa è che la Libia è stata per noi un po’ una seconda Patria, nel senso che pur avendo avuto un rapporto altalenante e in certi casi burrascoso, ad esempio nell’epoca coloniale, siamo stati capaci di costruire e mantenere un rapporto economicamente e strategicamente rilevante, al punto da impiantare con l’ENI uno dei più importanti riferimenti energetici (gas e petrolio) a livello mondiale oltretutto in area geograficamente assai prossima al nostro Paese, senza dimenticare le (non eticamente) lucrose vendite di armi e i rapporti economico-finanziari che da anni intrecciano i due Paesi.

I lunghi anni passati in Libia ci hanno permesso di conoscere nel dettaglio le varie tribù che tanta parte hanno nella vita politica della Nazione e nel contempo riuscire a tenere un rapporto molto forte con il Colonnello Muhammar Gheddafi, indipendentemente dal Governo della nostra Repubblica.


Questo non toglie che i servizi di intelligence e rappresentanti economici e politici di altri Paesi non fossero presenti in Libia e naturalmente non si esclude che cercassero di rosicchiare rapporti e potere alle nostre aziende. Probabilmente una guerra sotterranea più o meno cruenta (seppure non militarmente parlando) è sempre presente in ambiti di questo tipo, anche perché le questioni di approvvigionamento energetico, militare e finanziario sono spesso legate fra loro e ai primissimi posti nella scala dei valori per tutti i Paesi occidentali se non del mondo intero.

Ritengo questo un ulteriore tassello a supporto della validità dell’operato italiano nel campo dell’intelligence, che va a raccordarsi con le esperienze in molte altre parti del mondo e che solo ben raramente vengono a galla. Direi che restano per lo più nascoste dalle luci della ribalta e così deve probabilmente essere per un buon servizio segreto. I casi contrari sono dovuti a quando qualcosa, perfino in ambito globalmente positivo, va storto. Come fu il caso della liberazione di Giuliana Sgrena a opera del gruppo di Nicola Calipari in Iraq.


Questa guerra sotterranea si combatte con vari strumenti, spesso si tratta di una serie di rapporti personali, altre volte con aspetti di carattere psicologico. Siamo in presenza di continui rapporti mantenuti con pazienza certosina dagli agenti sul campo, che hanno tempi slegati da altri settori e dipendenti dalle aree in cui si opera e dalle tradizioni in essa esistenti: la costruzione di un rapporto consolidato può avere tempi lunghi e anche lunghissimi, ma non esclude che in certi casi ci sia necessità di decisioni rapidissime e solo chi opera sul campo può avere questa percezione di cosa fare, quando e come. Questo è uno degli aspetti basilari anche quando le informazioni passano dal settore operativo (sul campo) a quello diplomatico e poi a quello politico, il quale il più delle volte avendo tempi diversi può rendere necessario una rielaborazione  degli accordi presi sul campo, con conseguenti problemi arrecati a chi vi opera. Ma tutto questo è parte del gioco, o almeno lo è fino a quando le rielaborazioni non diventano troppe in poco tempo e troppo grandi, se non contraddittorie.


In altri casi ci sono aspetti politici che possono avere ripercussioni sul campo non tanto perché sono non coordinati, ma perché vanno a incidere su aspetti grazie ai quali altri servizi possono innestarsi e provocare una reazione da parte di alcuni settori locali, reazione che potrebbe far leva su un loro sentimento fino ad allora non del tutto espresso ma conosciuto dagli uomini che lavorano sul campo, in rappresentanza di questo o quel Paese.

Dunque se è vero che il lavoro si esplica su tre livelli è altrettanto vero che questi livelli é necessario procedano coordinati, coesi e con un flusso di informazioni continuo e ben condiviso.


Dal mio punto di vista questo potrebbe non essere accaduto nella concatenazione di eventi che ha portato dall’accoglienza imbarazzante concessa al col. Gheddafi e al suo seguito durante la visita ufficiale svoltasi a Roma nel 2010 fino alla decisione di avallare l’attacco alla Libia ormai in chiara dipendenza dalle decisioni prese in altre Cancellerie e quindi avendo perduto il rapporto privilegiato con il Governo Gheddafi, senza avere un rapporto altrettanto importante con gli insorti che sono invece più vicini ad altri Paesi, dato che sono tutti parte dell’opposizione a quel Governo con cui noi sembravamo così strettamente alleati.


Insomma: com’è stato possibile dare tutto quel risalto alla visita di Gheddafi a Roma se in Libia si stava preparando una rivolta di popolo e ci siamo fatti trovare impreparati nel momento dell’innesco della rivolta?

Se tale rivolta non era di popolo, com’è che non ne eravamo a conoscenza e abbiamo sposato le notizie che arrivavano via Twitter?


Quanto sopra ha determinato il posizionamento nelle sabbie mobili che ci ha incastrato e ha di fatto portato a forte rischio di avere in casa una delle vittime più importanti dell’intera questione: l’ENI e il suo ruolo in Libia, vero obiettivo dell’intera campagna scatenata da parte di altre potenze occidentali che chiamiamo alleati.


Per come vedo personalmente certi accadimenti, non è pensabile che i nostri uomini sul territorio libico non avessero avuto il polso della situazione e pertanto se avessero avuto il sentore che la posizione del Colonnello non era più salda come in passato mai avrebbero dato il proprio assenso alla scenografia che Roma si apprestava a concedergli.


Allo stesso modo, una volta iniziata l’insurrezione via Twitter, non è pensabile che i nostri agenti sul campo non abbiano avvertito chi di dovere sull’effettiva entità della rivolta, nè del fatto che il numero dei morti e dei feriti frettolosamente dichiarati fosse del tutto fuori dalla realtà e che ci ha portato al traino di scelte prese altrove.

E allora cos’è successo? Perché la nostra diplomazia si è lasciata portare nelle sabbie mobili al punto che da un certo momento in poi qualunque mossa avesse fatto sarebbe stata non produttiva per mantenere il ruolo italiano nella terra libica, così strategicamente importante  e che si sapeva da anni nei mirini di molte potenze occidentali?


D’altro canto le immagini che da settimane continuano ad arrivare dalla Libia, girate da operatori di tv occidentali (quindi presumibilmente non contrarie ai ribelli), mostrano gli insorti come un volenteroso gruppo di giovani o meno giovani combattenti ma apparentemente poco addestrato, nonché poco militarizzato. Sembra anche che il numero di questi combattenti non sia accertato neanche a spanne, ma non sembra essere in grado di coprire grandi aree libiche; pare concentrato nella città di Misurata e forse nei dintorni. La domanda che mi viene in mente è la seguente: di quante persone deve essere composta una rivolta popolare perché sia definibile tale?

Nel caso in cui siano poche centinaia di persone, come sembrerebbe il caso in questione, come può un’organizzazione mondiale - e al di là anche degli aspetti formali - proclamare che rappresentano il popolo libico e quindi scatenare una guerra autorizzata? E cosa significa essere una guerra autorizzata, quali caratteristiche deve avere una guerra per essere autorizzata? Domande sotto certi aspetti persino imbarazzanti…Una guerra è una guerra. Che sia autorizzata da un organismo internazionale come le Nazioni Unite e su basi così labili è un vero paradosso che potrebbe portare a mettere in dubbio l’esistenza dell’ONU per com’è adesso concepita.


Allo stesso modo sono sorpreso dell’approssimazione con cui alcuni Paesi occidentali hanno deciso l’intervento militare supportato un po’ acriticamente da buona parte della stampa occidentale. Tutto questo farebbe pensare a esigenze che con la dichiarata necessità di garantire le popolazioni civili ha veramente poco a che spartire.

Le voci dubbiose o contrarie, come Cina e Russia, non sembrano aver agito concretamente contro l’intervento militare e non capisco se si tratta di una semplice questione di buoni rapporti tra potenze mondiali (io ti lascio fare oggi e tu lasci fare me domani) o se invece non si tratta di speranza di poter usufruire di vantaggi in seguito, chiunque ne esca vincitore.


Credo comunque che la campagna di Libia si possa considerare come parte di un attacco alle risorse energetiche non rinnovabili che ancora sono in ballo nel mondo e che sono giornalmente sotto la lente d’ingrandimento di vari Governi e relativi servizi d’intelligence, sempre pronti a sfruttare momenti di debolezza di questa o quella Cancelleria. Al tempo stesso è possibile che la scelta di partire in un certo momento dipenda da questioni poco conosciute sia nei termini di intelligence cui sopra accennavo, sia sulla base di questioni commercialmente rilevanti ma poco note, come potrebbe essere l’avanzamento nella formazione di enti pan africani come la Banca Centrale Africana, la Banca africana di investimento e il relativo Fondo Monetario Africano (1), potenzialmente in grado di drenare altissimi capitali e risorse primarie che finora erano a esclusivo vantaggio di Agenzie occidentali.


Non si tratterebbe del primo evento del genere e per restare in tempi abbastanza vicini ricordiamo il caso dell’Afghanistan nel cui sottosuolo vari esperti avevano da anni ipotizzato la presenza di minerali strategicamente fondamentali per la produzione di strumenti ad altissima tecnologia come i Rare Earth Elements che puntualmente sono usciti fuori pochi mesi fa o dell’Iraq di Saddam Hussein che venne invaso poche settimane dopo che la Nazione  mediorientale (che a quei tempi non aveva alcun rapporto con Al Qaeda nè ospitava alcun campo di addestramento più o meno implicato in trame terroristiche) aveva scelto la moneta europea per i propri commerci petroliferi, privando il Dollaro americano di un ampio finanziamento a tasso zero. Un aspetto troppo importante per la già allora traballante economia americana, che non poteva esser lasciato correre, anche per il probabile effetto domino che avrebbe potuto innescare in altre zone nel mondo altrettanto importanti per i capitali in dollari americani che movimentano. Forse stavolta il problema sarebbe stato anche per qualche altro Paese occidentale. E’ solo un’ipotesi.

Non possiamo altresì passare sotto silenzio che secondo fonti libiche circa 45 miliardi di € e 32 milioni di dollari in possesso legale libico sarebbero stati “congelati” dai governi francese, inglese e americano nei primi giorni dell’attacco, naturalmente a disposizione del futuro Governo libico, magari con investimenti decisi insieme alle banche occidentali.


Come in Iraq e Afghanistan (o in Vietnam) bisogna riconoscere che anche in Libia le forze occidentali non sembrano aver organizzato al meglio le cose. Anzi sembra di esser davanti a un gruppo di potenze da anni sprecone e sotto certi aspetti ormai in disarmo, al punto che questa guerra potrebbe essere uno degli ultimi colpi di fuoco per l’occidente o almeno per come questa parte di mondo si è finora comportata nei rapporti internazionali, come amaramente commenta il Financial Times (2)


Da un punto di vista politico ho diverse domande a cui non trovo risposta ma che invece mi provocano ulteriori domande; nè ho chiaro cosa sia cambiato nel comportamento interno del regime di Tripoli per innescare l’attacco in questi giorni e non 10 anni fa o fra 2 anni.


Al tempo stesso annoto che pur in una situazione di estrema emergenza, il colonnello Gheddafi non pare servirsi dell’argomento Caso Ustica come estremo tentativo per evitare il tracollo, il che può dare adito a tre scenari:

Gheddafi e la strage di Ustica non hanno punti in comune;

La situazione pur grave non è ancora drammatica per le sorti del Colonnello e la carta Ustica sarà giocata solo alla fine;

La strage di Ustica è la cambiale che permetterà a Gheddafi di avere un salvacondotto per una pensione d’oro.

Il futuro - forse - ci aiuterà a capire anche questo.






Note:

1)

Libya and African Union Commission sign agreement for establishment of African Investment Bank

http://www.libyaonline.net/archive/libya_news.php?page=page&pageNo=114&Info=6575


2) “Libya, a last hurrah for the west” - (http://www.ft.com/cms/s/0/6ed0e3f6-5955-11e0-bc39-00144feab49a,s01=1.html?ftcamp=rss&ftcamp=crm/email/2011329/nbe/Comment/product#axzz1K5hzam4z>)

Ultimo aggiornamento Lunedì 31 Ottobre 2011 15:07