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Ripartire dalla sussidiarietà

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Autore: Stefano Ceccatelli

 

Ho appena finito di leggere una feroce ma gustosa commedia di Friedrich Durrenmatt dal titolo Franco quinto (quinto di una stirpe di banchieri, perfidi tutti ma sempre più incapaci), che mi arriva la notizia delle dimissioni dei vertici al completo della Barclays, terza banca inglese, uno dei colossi della finanza europea.

Riproponendo la domanda di Bertold Brecht se sia più pericoloso fondare una banca o svaligiarla, il suo allievo svizzero Durrenmatt propende senz’altro per la prima opzione.

In effetti le banche, la finanza, come gli ultimi sviluppi della grande crisi in cui versiamo ci mostrano, si rivelano sempre più palesemente, come la “longa manus”, per non dire le menti occulte, dalle cui scelte anche il nostro attuale assetto (democratico?) dipende.

 

 

Se oggi è chiaro a un numero sempre maggiore di persone, credo, che si sta combattendo una guerra tra la finanza e la democrazia e che le “bombe” (scusate se mi esprimo così), apparentente innocue, che vengono tirate addosso alla democrazia sono spesso i giudizi delle società di rating, ci voleva una buona dose di fantasia a Durrenmatt, nel 1952, scrivendo la sua opera, per ipotizzare che le vicende successive avrebbero preso proprio la direzione da lui immaginata.

Eppure qualche spia in tal senso, qualche “indicatore di direzione”, forse s’intuiva già.

Il capitalismo finanziario si era espanso grazie al lavoro di Fondazioni come la Standard Oil Company di Rockfeller o la Fondazione Carnegie, all’inizio del Novecento. Ma che cos’è una Fondazione?

Andrew Carnegie, il magnate dell’acciaio americano, e John Davison Rockfeller, il più ricco petroliere statunitense, intrapresero attività con cui “restituivano” ai più poveri qualcosa, traendolo dalle immense fortune che avevano nel frattempo accumulato.

Questa loro filantropia si rivelerà nel tempo la loro attività imprenditoriale più efficace e fruttuosa.

Le loro Fondazioni, completamente esentasse, fornite dei migliori avvocati, con la scusa dell’aiuto benefico, entreranno presto in posizioni dominanti e “suggeriranno” ai governi di tutto il mondo politiche di istruzione e politiche sanitarie.

Saranno le Fondazioni il cavallo di Troia attraverso cui gli USA faranno  passare nella finanza e nell’economia internazionale il concetto di “global corporate governance” (governo globale delle multinazionali).

Saranno sempre le Fondazioni, nel primo dopoguerra, a dar luogo al CFR (Council on Foreign Relations), un gruppo di pressione sulla politica estera USA.

Del CFR hanno fatto parte fino ad oggi ventidue Segretari di Stato statunitensi.

Cinque membri del CFR facevano parte del direttivo che nel 1943 istituì l’ONU ed era di Rockfeller il terreno, a New York, su cui sorse il Palazzo di Vetro.

Dal 1946 tutti i Presidenti della Banca Mondiale, tutti paladini dei poveri a sentir loro, erano membri del CFR (tranne George Woods, che però sedeva nel consiglio di amministrazione della fondazione Rockfeller ed era vicepresidente della Chase Manhattan Bank).

E nel 1952 era già pienamente operativo anche il Fondo monetario Internazionale (FMI), uno degli enti meno trasparenti al mondo, e che pure andava in giro a chiedere trasparenza ai governi e alle economie del pianeta.

Non era matto allora il buon Durrenmatt a sostenere che “svaligiare una banca è roba da dilettanti; il vero ladro una banca la fonda”.

Mi fa piacere leggere adesso che le banche che meno hanno risentito dell’attuale crisi siano quelle che fin dall’inizio hanno fatto una scelta “etica” o civile, che è la stessa cosa, rinunciando ai “giochi speculativi” per servire l’economia reale.

Ma in attesa che queste banche “alternative” decollino e nasca e si sviluppi una nuova economia, che dobbiamo fare?

Una buona soluzione sembrerebbe quella di ripartire dal territorio.

La parola chiave potrebbe essere: sussidiarietà. Più soldi alle famiglie, alle piccole imprese (il 95% del totale in Italia), ai Comuni, alle aree metropolitane, volano di sviluppo in termini di efficienza, sostenibilità, mobilità, cultura (oggi nessuna delle prime venticinque città più vivibili del mondo è italiana).

Se questo fosse vero, se il denaro ricominciasse ad affluire verso il territorio e quindi verso l’economia reale, se nuove relazioni fra cittadini potessero sottoporre al vaglio le scelte dei governi democratici (democrazia non è “governare discutendo”?), anche le banche riguadagnerebbero la loro funzione originaria, e perderebbero l’attuale zavorra che le calamita verso le attività di speculazione.

Infine, altro tassello importante sarebbe (e questo parrebbe in dirittura d’arrivo, speriamo) l’avvio della Tobin tax, la tassa sulle transazioni finanziarie, che oggi ammontano a circa sessanta volte la produzione annua mondiale.

Quand’anche il tasso fosse solo dell’1,5%, una bazzecola, esso sarebbe comunque un segnale nella giusta direzione ed indicherebbe la volontà della politica di riappriopriarsi dell’iniziativa e di reimporsi sul mondo della finanza.

 

 

Fonti:

F. Durrenmatt, Franco quinto, Marcos y marcos, 12 euro

“Internazionale” n° 943 articolo di Arundhati Roy

Ultimo aggiornamento Domenica 22 Luglio 2012 09:32