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Twitt(er) and Shout

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Autore: Flavio Gori

 

Negli ultimi anni oltre a Internet, abbiamo avuto il fiorire di tutta una serie di nuovi strumenti che si muovono dentro la rete, che da essa traggono origine e si sviluppano, riuscendo ormai a vivere di luce propria. Creando anzi fenomeni essi stessi. Tra i tanti ce ne sono alcuni che hanno avuto particolare risonanza: i Social Network. Di cosa si tratta?

Con Social Network (SN), secondo Wikipedia, si intende 'Una rete sociale (in inglese social network) che consiste di un qualsiasi gruppo di individui connessi tra loro da diversi legami sociali. Per gli esseri umani i legami vanno dalla conoscenza casuale, ai rapporti di lavoro, ai vincoli familiari. Le reti sociali sono spesso usate come base di studi interculturali in sociologia, antropologia ed etologia'.

Tra i vari SN che negli ultimi anni hanno preso campo, due di questi si stanno confermando leader assoluti: Facebook e Twitter.

 

 

Mentre con Facebook i vari utenti tendono a creare comunità di individui con cui scambiare commenti, dati, informazioni, foto, filmati, Twitter, dice ancora Wikipedia,  'è un servizio gratuito di rete sociale e microblogging che fornisce agli utenti una pagina personale aggiornabile tramite messaggi di testo con una lunghezza massima di 140 caratteri'.

Negli ultimi anni, sia Facebook che, ancor più, Twitter, sono diventati fornitori d’informazione quasi in alternativa alle testate tradizionali. Non potendo spesso (ma non sempre) contare su firma di prestigio, con i SN si è privilegiato l’aspetto che è stato definito come “spontaneo”, nel senso di emesso da persone che si trovano sul posto dove avviene un certo fatto (positivo o negativo che sia) e che grazie alle caratteristiche di Twitter, tutti coloro che usano questo mezzo possono facilmente leggere ciò che riguarda un certo avvenimento. Il punto base di questa facilità di ricerca è dato da un cosiddetto “hashtag” o “#”. Se un membro di Twitter scrive un messaggio anteponendo questo segno “#” alla parola con cui l’autore vuol contraddistingue l’avvenimento, sarà sicuro che chiunque sarà interessato a leggere quella parola (in quanto interessato ad argomenti che ruotano intorno al significato di quella parola), leggerà il suo messaggio. Facciamo un esempio su un argomento inventato:

Stamani a #calenzano abbiamo visto un ufo.

Chiunque scriverà la parola “#calenzano” nello spazio di ricerca di Twitter,  leggerà tutti i messaggi che riporteranno la parola “calenzano”, quindi anche il mio. E’ da ricordare che #calenzano potrà far leggere messaggi che riguardano il paese di Calenzano per qualunque motivo: dagli ufo, all’olio di oliva. Da un incidente stradale, a un evento teatrale che si dovesse tenere in questo paese e che qualcuno ha deciso immettere nel circuito Twitter. E’ dunque un modo per sapere cosa succede a Calenzano in quelle ore.

Si capisce che si tratta di uno strumento molto potente per filtrare i milioni di messaggi che invadono Twitter e saremo certi di esser letti da chi è interessato a quel piccolo Paese toscano, in qualunque parte del mondo viva.

Questo strumento è stato molto usato da chi si è trovato in stato di emergenza, come nel caso del naufragio davanti alle coste dell’isola del Giglio della motonave “Costa Crociere”, per chiedere aiuto alla comunità internazionale o locale, certo di esser letto in contemporanea in ogni parte del mondo, da pochi metri dalla sua posizione a migliaia di chilometri di distanza.

Naturalmente con questo sistema si è potuto anche avvisare familiari e amici e tranquillizzarli.

Se non scrivo il segno speciale “#”, il mio messaggio sarà letto solo dai miei followers, ovvero chi segue i miei messaggi, detti tweet, - cinguettii - che, come tali, devono essere brevi.

Quanto brevi? 140 caratteri: questo è un must assoluto e caratterizzante di Twitter. Non più di 140 caratteri, altrimenti il messaggio non parte.


Ci sono stati numerosi dibattiti su questa limitazione e alla fine pare emergere un aspetto in particolare: con questo sistema tutti ci siamo dati una regolata, evitiamo di essere prolissi, non occupiamo troppo spazio nel network e nella rete Internet, spazio che può essere usato da altri e la comunità digitale ne trae un vantaggio.

E’ vero, in questo modo i messaggi di emergenza, di utilità, ti aiuto, possono raggiungere rapidamente tante persone e contribuire a salvare vite e questo è uno degli scopi più nobili per cui Twitter è usato.

Non che con Facebook questo non sia possibile, basta usare un altro sistema cioè rendere “pubblico” il messaggio anziché confinarlo ai soli “amici” ma forse non è altrettanto diretto e filtrato per chi cerca quella specifica parola/argomento e alla fine pare che Twitter si sia guadagnato il posto centrale in questo scenario. Un SN minimalista, molto diretto e assai utile specialmente in caso di emergenza.

Col tempo sono emerse altre particolarità dei SN: dato che non sono proibiti i nickname (nomi di fantasia), a volte serpeggia la possibilità che dietro a questi nickname si nascondano persone che non hanno del tutto a cuore la correttezza. Ad esempio, chi mi da una garanzia che quel che scrive Mr Olam (un nikname inventato in questo momento) è vero? Chi mi garantisce che Mr Olam è davvero nel luogo in cui dice di essere ed è testimone - diretto o indiretto - del fatto?

E’ un aspetto importante perché in caso positivo, sono portato a pensare che quel che Mr Olam scrive è vero perché lui/lei lo sta vedendo mentre avviene o è in grado di darmi un’informazione puntuale perché vive l’aria che si respira sul posto dove il fatto avviene.

Nel campo dell’informazione si tratta di un problema serio, anche a causa del fatto che non solo tanti milioni di utenti nel mondo, ma ormai sempre più testate giornalistiche paiono prendere per affidabili i messaggi che arrivano dal mondo di Twitter, che vengono rilanciati nel mondo dell’informazione anch’essa sempre più compulsiva, senza adeguate verifiche (talvolta impossibili prima della pubblicazione).

Mentre questo tipo di problema è comune a tutti i SN, ci sono altri aspetti che sono tipici di uno solo di questi: Twitter con i suoi 140 caratteri. Se da un lato questo aspetto è stato parte del suo successo, dall’altro pone la necessità, o almeno l’opportunità di una riflessione.

Dato che negli ultimi mesi Twitter ha avuto un aumento esponenziale di utilizzatori, probabilmente le sue caratteristiche sono quelle che tanta gente cercava.

Secondo qualcuno, questo aumento è in parte dovuto anche a quella sorta di cassa di risonanza che (sotto certi aspetti in maniera paradossale) hanno fatto molte testate giornalistiche che a un certo punto hanno presentato i messaggi via Twitter come esempio di giornalismo di base, assecondando l’assunto che chi twitta lo fa perché è testimone di ciò che riporta e lo fa in maniera onesta e disinteressata. Un’informazione a costo zero e grezza, nel senso di non essere mediata da interessi particolari che potrebbero snaturarne l’oggettività.

I fatti separati dalle opinioni, come recita un classico del giornalismo.

In pratica hanno preso per buono un concetto che girava nella rete da un po’ e che alcune delle grandi firme non sono state in grado di scardinare. Se non lo puoi battere, fattelo amico. Un concetto vecchio, ma evidentemente sempre valido.


Personalmente ho avuto modo di usare Twitter in maniera continuativa a partire dai primi mesi del 2011 e per una sorta di colpo di fortuna, mi sono trovato nel bel mezzo del flusso di messaggi che investivano il mondo in coincidenza con l’inizio di quella che sarebbe stata la guerra di Libia.

Specie all’inizio, quando ancora i grandi inviati non erano giunti sui vari territori delle battaglie, una delle poche fonti d’informazione erano davvero i tweet.

Naturalmente veniva automaticamente la domanda cui si accennava prima: come faccio per avere la certezza dell’affidabilità di ciò che leggo? Come posso esser certo che chi scrive con un certo nome (quando non è palesemente un nick) è davvero chi dice di essere, si trova dove dice di trovarsi ed è testimone di ciò che scrive?

Non sono riuscito a trovare un modo affidabile per verificare tutto ciò (a), ma continuavo a leggere commenti di importanti testate  internazionali (stampa e tv) che si basavano su questi messaggi. E hanno continuato anche dopo che era stata smascherata la bufala dei 5.000 morti e 10.000 feriti che sfortunatamente fu presa per buona anche in qualche ambito ministeriale.

Questo ci consiglia di usare una maggiore cautela prima di prendere per veritiero ciò che i SN riportano e nel contempo ci fa capire come sia necessaria la professionalità e la credibilità conquistata da anni sul terreno, da parte di quei Giornalisti che svolgono con attenzione e competenza il proprio lavoro.

 

 

Ma Twitter pone ancora un aspetto su cui riflettere e che non mi pare sia stato ancora del tutto preso in esame. Il punto é di nuovo i 140 caratteri con cui ogni messaggio può essere composto. Non uno di più. Sono abbastanza per informare su un titolo, su una notizia e quindi rimandare a un’altra pagina web con un link, inviare un breve commento e un saluto.

Ma sono abbastanza per esprimere un parere? Per supportarlo? Per veicolare un commento circostanziato? Probabilmente non è così e forse non è stato pensato per questo.

Questo perché usando solo 140 caratteri, Twitter non permette un'adeguata e completa spiegazione del pensiero, dell'idea dello scrivente, che pertanto è probabile che si debba limitare alla ricerca della frase convincente, chiara, decisa, magari a effetto, in modo che colpisca il lettore.

Questo porta a un rischio: estremizzare i concetti, i messaggi e di conseguenza le idee. Alla fine il risultato è di estremizzare i rapporti, nel senso che avvicina chi la pensa allo stesso modo, ma scava un solco con chi la pensa diversamente. Non necessariamente chi la pensa in maniera opposta, anche con chi pur avendo idee non molto diverse, dovesse trovare eccessiva la sicurezza mostrata nell'impostazione del messaggio.

L’estremizzazione dei concetti, porta con sé il rischio dell'estremizzazione delle parti, dei gruppi: o con noi o contro di noi. Un aspetto già presente nel mondo odierno, che con un uso di questo tipo potrebbe venir inopinatamente sostenuto anche da strumenti come Twitter.

In questa ottica il SN minimalista mi pare adatto solo a un certo tipo (e livello) di comunicazione, mentre pone tutti davanti a una questione importante:

dando a ognuno la possibilità di scrivere al mondo intero, dà a nessuno la possibilità di esprimersi.

In questo senso è un tipico frutto dell'epoca in cui viviamo, dove col paravento di ciò che molti pensano sia giusto ed espressione di democrazia (in questo caso la possibilità di parlare e di scrivere offerta a milioni di persone resa facile), in realtà, con la limitazione dei 140 caratteri si rischia di far passare il contrario della sua missione (mancanza di condivisione), anche perché gli utilizzatori spesso non si pongono molte domande e o reagiscono di getto imbarbarendo la discussione o la lasciano cadere nel vuoto. (b)

Un altro aspetto che può contribuire a rendere difficoltosa la conversazione è il sistema compulsivo che ci riversa messaggi ogni secondo, il che che rende difficoltoso seguirli adeguatamente. Dopo un qualsiasi messaggio, nello spazio di pochi secondi ne riceveremo altre decine. A quel punto dovremo scegliere quali eseguire. Certo questo dipende anche da noi e da quante persone decidiamo di seguire: spesso vedo utenti che hanno centinaia se non migliaia di contatti e allora la possibilità di essere costantemente assaliti da un alto numero di messaggi, aumenta.

Siamo davanti a un caso simile a quello di tanti relatori con pochissimo tempo a disposizione (caso tipico sono gli incontri noti come La Leopolda fiorentina) che si susseguono sul palco senza soluzione di continuità e di cui resta difficile memorizzare non tanto gli interventi ma anche il nocciolo di quel che vogliono comunicare, fallendo l’obiettivo dichiarato che sarebbe quello di condivisione delle idee. Anche nel caso dei messaggi di Twitter complice il compulsante susseguirsi di messaggi sullo schermo, gli utenti/lettori non sempre riescono a sviscerare ciò che viene loro proposto. Ci si ferma alla superficie che magari genera divisioni fra chi non è proprio del medesimo parere. Addirittura talvolta il semplice uso di vocaboli diversi, può generare forti incomprensioni.

Nel caso di Twitter a volte si abbandonano i messaggi così come sono arrivati, altre si risponde esprimendo concetti altrettanto di parte. Il risultato è comunque simile: non si scalfiscono le fazioni in causa.

E anche questo modo di porsi risente in qualche misura della drastica diminuzione dei caratteri a disposizione.


Come è stato più volte osservato, in questa nostra epoca ci si esprime con poche parole, si pensa con pochi vocaboli (che rischiano di essere sempre meno e sempre gli stessi, sia tra persone diverse, che per lo stesso soggetto; spesso quest’ultimo è conseguenza del primo aspetto).

Un vero paradosso nell'epoca in cui tutti o molti possono scrivere e sono sempre meno gli analfabeti (classici e digitali), viene limitato il numero dei caratteri a disposizione. Dobbiamo capire bene ciò che usiamo e gli scopi che esso si prefigge, usandolo per quel che è stato progettato, altrimenti si rischia di fare un salto all'indietro nell’esposizione del nostro pensiero, come in una macchina del tempo.

Risulta interessante come, nonostante tutto questo, Twitter sia accettato e sostenuto come strumento di modernità comunicativa a tutto tondo.

Una volta che lo stesso strumento viene presentato come inviso a certi Governi non amici, il gioco è fatto: é (o viene percepito) come uno strumento di democrazia e libertà, a prescindere.

E’ paradossale che chi è attento alla comunicazione non si curi, o non si accorga, che quel che gli viene proposto, se mal usato, può diventare uno strumento di comunicazione relativa, se non una non comunicazione. Questo avviene non tanto nei concetti da esporre, quanto piuttosto nel modo in cui i concetti, le idee, possono essere presentate e trasferite verso il mondo intero.

L’effetto che ne risulta può essere contrario alle aspettative e, come si accennava prima, potenzialmente in grado di peggiorare le relazioni sociali, aggravando i disaccordi e irrigidendo le posizioni, con le conseguenze del caso. Una delle quali può essere la disaffezione dall’uso dei SN, uno strumento invece molto utile per connettere persone vicine e lontane, coinvolgendole su temi cruciali, come abbiamo visto qui in Italia nel caso dei Referendum del 2011 di cui peraltro ancora attendiamo che siano prese le conseguenti – per legge - decisioni applicative.

Effetto questo (la disaffezione dai SN) che potrebbe non essere sgradito in certi ambiti.


Per avere un quadro di chi usa Twitter, le caratteristiche di età, scolarizzazione e popolazione negli Stati Uniti, per vari motivi un Paese guida nell’uso di strumenti tecnologici, può essere utile servirsi di un lavoro recentemente pubblicato dal Pew Research Center.

Si tratta di un’inchiesta che mostra come negli Stati Uniti, l’utilizzatore tipo tra quelli in crescita più ampia, è l’ispanico, seguito dall’afroamericano, spesso parte di strati sociali non automaticamente collegati con l’uso dell’alta tecnologia come invece avviene per altri strati sociali.

Un altro aspetto che trovo coerente con l’analisi alla base di questo scritto è che l’utilizzo di Twitter è più alto negli utilizzatori con bassa e con alta scolarizzazione: nel primo caso non vi è probabilmente la necessità di spiegazioni di ampi concetti, mentre nel secondo caso sono sufficienti poche e specifiche parole per ripescare preesistenti discussioni, rimandare a scritti più ampi, o semplicemente servirsi di Twitter come taccuino per appunti di discussioni in essere in altre sedi.

E’ altrettanto interessante vedere come l’utilizzo di Twitter su mezzi portatili stia aumentando considerevolmente. Questo lo trovo coerente con la limitazione dei 140 caratteri: durante l’uso con smartphone, tablet e telefoni cellulari, che mettono a disposizione tastiere poco comode e inadatte per scritti lunghi e ponderosi, la limitazione dei caratteri non viene avvertita. Anzi, è un’ulteriore spinta all’uso di poche parole.

 

 

 

 

Note:

 

a) A metà marzo 2012 partecipando al brainstorming biennale “Security Jam”  organizzato da NATO, SDA e altri enti internazionali, mi sono reso conto che questo problema è stato molto sentito anche da altri giornalisti in tutto il mondo che usano Twitter e continua a esserlo, in quanto non siamo riusciti a scovare un metodo che permetta di capire l’affidabilità  dello scrivente sul SN, almeno sull’immediato.

 

b) Naturalmente questo non è patrimonio del solo mezzo informatico. La stessa problematica di democrazia apparente (ma anche condivisione, scambio e travaso di informazione in realtà assenti) la si ottiene quando si offre a molti l’occasione di parlare davanti a una pur ampia platea ma limitando gli interventi a pochissimi minuti: da un lato solo i primi avranno il piacere di essere ascoltati dalla platea e spesso capita che ciò che diranno sarà presto dimenticato o confuso nel marasma dell’alto numero delle relazioni. Ma avremo un altro aspetto di cui tener conto: nei pochissimi minuti a disposizione, i relatori a loro volta saranno impossibilitati a esprimere compiutamente la propria idea.

Quindi una doppia problematica per questa apparente ampia democrazia della parola e della comunicazione, che pur ammantandosi di condivisione di idee ed elementi di discussione, di fatto rende problematica la comunicazione, affidandosi a concetti facilmente trasferibili e carenti dal punto di vista dei dettagli. Uno slogan allungato, l’esatto contrario di quel che necessita per sviluppare la discussione e l’abitudine a riflettere sulle idee altrui.

Ultimo aggiornamento Mercoledì 24 Ottobre 2012 13:36