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Per un dibattito sullo stato della scuola in Italia

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Autore: Stefano Ceccatelli

Qualche settimana fa la trasmissione televisiva “A sua immagine”, intitolata “Un Preside per amico”, raccontava la vicenda di Paolo Triggiano, un diciottenne di Arezzo che si era ammalato di leucemia ed era ricoverato al S.Anna di Pisa,  rischiando di perdere l’anno scolastico, quello della maturità. Vedi qui.

Il Preside Anselmo Grotti, che aveva vissuto nella sua vita un’esperienza simile, è anche un esperto di comunicazioni e di rete che sa quanto le nuove tecnologie possano unire e creare comunità, autentiche e non solo virtuali.

Ma le tecnologie moderne (lim, skype, parabole) non basterebbero senza la fondamentale volontà umana di interagire per aiutare chi è nel bisogno.

Si trattava di permettere al ragazzo, attraverso un sistema di “ponti web” di assistere dall’ospedale via video alle lezioni.

 


 

E con lo sforzo corale di questa scuola divenuta comunità col concorso di tanti (non era facile trovare il segnale giusto per le parabole) Paolo ha potuto seguire ogni giorno le lezioni e arrivare all’Esame di Stato.

Paolo, in TV, ringraziava il suo preside perché per tutto l’anno si è sentito avvolto da una “rete” di relazioni autentiche, vere, solidali.

Ed i suoi compagni di classe ne sono stati fulgida testimonianza, avendo rinunciato ad una gita scolastica in una capitale europea per un’altra gita nella vicina Pisa, dove Paolo era ricoverato.

E’ da esperienze come queste che si dovrebbe ripartire per riformare la scuola.

Abbiamo alle spalle una grande tradizione, che dice solidarietà, inclusione, relazione, ascolto, comunicazione, dialogo.

Su queste radici dovremmo innestare il nuovo: edifici polivalenti, funzionali, sostenibili e fruibili da tutti, nuove didattiche che permettessero lo sviluppo di tutte le dimensioni di cui è fornita quella strabiliante fibra dell’universo che è l’intelligenza umana; ed anche, certo nuove tecnologie, ben calibrate sui nativi digitali.

Almeno su questa ultima pista sembrerebbe ben incamminato l’attuale governo Monti: ho sentito personalmente Giovanni Biondi, capo dipartimento del Miur, promettere una lim in ogni classe italiana e, in un secondo momento, un computer sul banco di ogni studente, collegato alla lim.

Ma, per altri aspetti, il modello di scuola proposto dall’attuale Ministro Profumo non guarda alle buone pratiche già in atto, all’estero e anche in Italia, volgendosi invece dalla parte sbagliata: la competizione, fra insegnanti e fra studenti, a cui si richiama, l’insistenza sui tests per la valutazione del merito, sembrano ricalcare il modello statunitense.

La Norvegia, paese di cui ho potuto visitare una scuola superiore nel 2003, adotta da una decina d'anni questo modello (esami uguali per tutti, insegnanti senza una formazione specifica) ma i risultati dei suoi studenti non sono poi di gran lunga superiori a quelli dei nostri studenti.

Sempre in Scandinavia, ma dall’altra parte, c’è un’altra nazione dalla quale abbiamo molto da imparare.

Avevano cominciato a farlo, già svariati anni fa, con ottimi risultati, le nostre italianissime scuole "Senza Zaino", quelle gestite dalle Comunità Montane.

I risultati di una ricerca effettuata dal Dipartimento di Psicologia dell’Università di Firenze, su un campione di 576 bambini toscani di terza elementare nell’anno 2008-2009, mostravano che le scuole “Senza Zaino” battevano ai punti le tradizionali scuole, sia nei processi di apprendimento (competenza ortografica, velocità di scrittura…), sia nei processi di socializzazione (autonomia, gestione dei compiti a casa, maggior collaborazione fra studenti…).

Senonché intervenne poi la scure della sciagurata finanziaria del 2008 che tagliò  sistematicamente i già scarsi fondi alle Comunità Montane, sopprimendone molte e lasciandone sussistere solo un piccolo numero.

Era perfino comico, qualche settimana fa, qui a Firenze, ad un convegno sulla scuola nell’era digitale, sentire Oreste Giurlani, responsabile dell’UNCEM Toscana (Unione dei Comuni e delle Comunità Montane) e Sindaco di Fabbriche di Vallico, un paesino dell’alta Garfagnana mentre parlava dei salti mortali a cui sono stati costretti, da allora, gli amministratori di quei Comuni.

Ma tornando ai suggerimenti per il futuro, resta il fatto che il modello finlandese sarebbe, attualmente, il migliore sulla scena mondiale.

Lì si punta sull'inclusione e non sulla competizione: le scuole finlandesi hanno il primato mondiale della più bassa differenza fra la preparazione degli studenti-eccellenze e quella degli studenti-scarsini.

Ed è centrale la risorsa della relazione: il 30% degli studenti finlandesi ha bisogni educativi “speciali” e viene seguito individualmente e moltissimi di questi sono immigrati.

Un ruolo chiave, all’interno delle aule finlandesi e di quelle Senza Zaino, lo gioca la mano, nella convinzione che sia quanto mai necessario, per lo sviluppo completo degli studenti, permettere loro il recupero anche di una  padronanza e competenza a livello concreto: ed ecco allora, dentro lo stesso ambiente, tanti spazi in cui si “fa qualcosa”: uno per ritagliare, uno per suonare, uno per dipingere, uno per scrivere, l’angolo dei “piccoli lavoretti”, l’area computer, senza tralasciare, naturlamente, la lezione frontale o lo spazio per la discussione di gruppo. L’idea di fondo è che la mano sta al cervello come l’hardware al software e che è dunque da evitare ogni sorta di pensiero disincarnato. Il cervello ha sempre imparato da quanto l’uomo ha fatto, ed è dunque nelle mani l’origine del linguaggio.

Ed i risultati, e il merito, qualcuno chiederà? Vengono di conseguenza. Non sarà certo un caso se la Finlandia è seconda al mondo nelle scienze, sesta nella matematica e terza nella lettura su un campione di mezzo milione di studenti di tutto il pianeta (Test Pisa 1009).

Certo la Finlandia è un paese piccolo in termini di popolazione rispetto all’Italia ma ha lanciato, fin dal 1963 una politica per l’istruzione come chiave per la crescita (gli insegnanti finlandesi sono preparatissimi dovendo sottoporsi ad una dura selezione), anche economica; una politica che, ben puntellata nuovamente dai governi anche nei decenni successivi, ha costruito un prestigio sociale intorno ad un ruolo, quello dell’insegnante, che è senz’altro centrale in ogni paese civile.

Ultimo aggiornamento Martedì 03 Luglio 2012 14:19