
Viviamo in un’epoca che celebra i dati, le misurazioni e le certezze scientifiche. Ma cosa accade se ci fermiamo a riflettere su ciò che non possiamo misurare? Questa tesina nasce da un dialogo tra un essere umano e un’intelligenza artificiale (ChatGPT), per esplorare insieme i limiti della percezione, i paradossi della conoscenza, il bisogno (spirituale e biologico) di speculare sull’inconoscibile.
Una riflessione libera, filosofica e un po’ provocatoria su ciò che chiamiamo “realtà”, sulla scienza che a volte diventa dogma, e sulla possibilità che il reale più profondo non sia ciò che possiamo toccare… ma ciò che possiamo solo intuire.
Speculare per esistere: limiti cognitivi, realtà ultima e il bisogno umano di capire l'incomprensibile
1. Introduzione: il paradosso del sapere moderno
Dopo millenni di filosofia, religione, scienza e tecnologia, l'essere umano ha ampliato in modo straordinario la sua capacità di conoscere, misurare, prevedere e modificare il mondo. Tuttavia, più le sue conquiste si moltiplicano, più cresce la consapevolezza di non poter afferrare ciò che potremmo definire "la realtà ultima". Le domande fondamentali rimangono sospese: perché esiste qualcosa invece del nulla? Cosa siamo? Cosa c'è oltre i limiti dello spazio, del tempo, della percezione? E soprattutto: possiamo davvero conoscere la realtà, o solo una sua proiezione all'interno della nostra mente?
2. Il mito del progresso: cosa abbiamo davvero capito?
Dalla rivoluzione scientifica in poi, la conoscenza umana ha fatto passi da gigante. Le leggi della fisica, l'evoluzione biologica, la struttura del cosmo, l'informatica e le neuroscienze hanno ampliato il nostro controllo sul mondo. Ma questo progresso, spesso identificato con un avvicinamento alla "verità", potrebbe essere solo un'espansione orizzontale, non verticale: cioè, abbiamo esteso il campo della nostra efficacia, non necessariamente della nostra comprensione profonda. Le nostre teorie sono funzionali, ma sono modelli, mappe, non il territorio. E ogni teoria accettata è costruita su percezioni, linguaggi e strutture mentali umane.
3. Realtà fenomenica vs realtà ontologica
L'antica distinzione tra "fenomeno" (ciò che appare) e "noumeno" (ciò che è) attraversa millenni di pensiero. Già Platone con il mito della caverna, e poi Kant, Husserl, fino a Heisenberg e Bohr, hanno messo in discussione l'idea che percezione e realtà coincidano. Secondo questa linea, tutto ciò che conosciamo è mediato da strutture mentali, sensoriali, linguistiche e culturali. La realtà ultima, se esiste, resta fuori dalla portata diretta dell'intelletto umano.
4. Scienza, percezione e illusione di comprensione
Le teorie scientifiche, per quanto raffinate, si basano su modelli verificabili empiricamente. Ma verificabile non significa "vero" in senso assoluto: significa solo "coerente con le nostre osservazioni". L'apparente certezza di molte teorie scientifiche può trasformarsi in un "tranquillante epistemico": ci illudiamo di sapere, perché ci siamo dati una struttura ordinata e prevedibile. Ma questa struttura è costruita con strumenti cognitivi che evolutivamente non sono stati progettati per cogliere l'infinito, l'eterno, l'assoluto.
5. Speculazione come bisogno biologico e spirituale
Nonostante i limiti, l'essere umano ha bisogno di speculare. Filosofia, religione, metafisica, arte e scienza nascono dallo stesso impulso: dare un senso all'esistenza. Anche quando non producono certezze, queste discipline offrono mappe simboliche che ci aiutano a orientarci nell'ignoto. Speculare significa accettare l'incertezza, convivere con il mistero e cercare di afferrarne almeno un frammento. In un mondo che valorizza il dato, l'efficienza e il risultato, la speculazione appare come un atto di resistenza interiore: una dichiarazione di libertà intellettuale e spirituale.
6. Ipotesi non convenzionali: entità immateriali e realtà nascoste
Alcune speculazioni più audaci ipotizzano che l'essere umano non sia il protagonista della realtà, ma uno strumento. Potrebbero esistere forme di coscienza non accessibili ai nostri sensi: entità immateriali, iperdimensionali o non-locali, che usano l'essere umano per interagire con la materia. Questa idea, presente in molte religioni e mitologie, è oggi riformulata anche in linguaggi scientifici (panspermia mentale, ipotesi simulazionistica, coscienza quantistica). Non si tratta di certezze, ma di aperture speculative che ricordano quanto poco sappiamo di quello che chiamiamo "reale".
7. Dal dubbio al dogma: la trasformazione della scienza in burocrazia della conoscenza
Sempre più spesso, la scienza non viene praticata come ricerca del vero, ma come sistema da mantenere, difendere, riprodurre. Alcuni scienziati sembrano agire più come "lavoratori del campo scientifico" che come esploratori intellettuali. Difendono con tenacia quanto imparato, non per amor di verità, ma per fedeltà a un sistema che li sostiene. La carriera, i fondi, la pubblicazione, la reputazione: tutto tende a rinforzare il conformismo invece che il dubbio. Ma la scienza non è un ufficio con capi e impiegati: è un'avventura dello spirito. Se perde il dubbio, diventa dogma. E il dogma, anche se travestito da metodo, è il contrario del sapere.
8. Infine una domanda che mi pongo da quando ero un bambino: Perché vedo solo ciò che posso toccare?
La percezione umana è un filtro, non una finestra neutra sulla realtà. Quando da bambini ci chiediamo perché vediamo solo ciò che possiamo toccare, stiamo in realtà interrogando il nostro stesso modo di esistere nel mondo. Il tatto è il senso che ci conferma ciò che vediamo: se qualcosa oppone resistenza, è reale. Ma questa sensazione di realtà è solo il prodotto della nostra struttura cognitiva e sensoriale.
Siamo stati progettati (evolutivamente) per percepire solo ciò che è utile alla sopravvivenza: oggetti solidi, suoni rilevanti, pericoli immediati. Il resto — energie sottili, dimensioni non accessibili, frequenze fuori dallo spettro umano — potrebbe esistere comunque. Solo che non lo vediamo. Vedere è elaborare, non ricevere passivamente.
In fondo, potremmo vivere immersi in una realtà molto più ampia, ma invisibile ai nostri sensi. E il bisogno di toccare per credere è solo una strategia dell'incertezza: la realtà vera, forse, è quella che non possiamo toccare, ma solo intuire.
9. Conclusione: capire non per dominare, ma per contemplare
La conoscenza umana, nella sua forma più autentica, non dovrebbe avere come scopo il dominio, ma la contemplazione. Non tutto ciò che è importante si può misurare. La coscienza del limite è già una forma di conoscenza superiore. Forse non siamo destinati a capire tutto: forse il vero atto di saggezza è continuare a cercare, pur sapendo di non poter mai afferrare il tutto. Speculare, dunque, non è un atto ozioso, ma un modo umano di onorare il mistero dell'esistenza.