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The Donald

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Cambiare è l’urlo che arriva dagli elettori degli Stati Uniti.

E’ lo stesso urlo che ha portato il M5s a essere il primo partito nelle elezioni italiane 2013, la Raggi sindaco di Roma, il successo della Le Pen in Francia, Podemos in Spagna o la Brexit.

E chissà quanti altri sintomi ci saranno nel resto del mondo.

La globalizzazione, quella che ci ha portato in uno stato di perenne ansia, maggiore povertà, corruzione e spesso guerra, ha sfiancato il mondo occidentale, in particolare il ceto medio che dalla globalizzazione è stato stritolato.

E il ceto medio, insieme ad altre aree sociali, ora reagisce. Si cambia senza sapere dove si va, nella speranza (e per qualcuno la convinzione) che non sarà peggiore della situazione in cui ci hanno portato i politici che negli ultimi decenni si sono avvicendati nei vari governi. Si preferisce l’incerto per chi, e per troppi anni, non ha mantenuto le promesse, facendo peggiorare il tenore di vita di chi li ha votati, creando disuguaglianze sempre più feroci.

Hillary Rodham Clinton è una rappresentante di questo potere e ha pagato. Forse una candidatura Bernie Sanders sarebbe stata più adatta per convogliare su di sé i voti dei delusi che, pur volendo cambiare, non se la sentivano di votare Trump. Ma il partito democratico era schierato per lei e ha sottovalutato la rabbia che covava anche tra gli elettori democratici, che - sentendosi per troppi anni traditi - stavolta non hanno mantenuto il sostegno a quella che era - tradizionalmente- la loro parte.

A Washington non mi rammento di grandi cambiamenti di linea internazionale quando a vincere sono stati gli uni o gli altri. Il primo interesse è sempre stato la garanzia e la prosperità della ’homeland’, declamato sotto varie forme e in conseguenza a questo, si stabiliscono rapporti con l'estero. Ciò nonostante saranno da seguire con attenzione il rapporto tra Stati Uniti e NATO, visto che Trump ha più volte dichiarato di voler diminuire l'impegno del suo Paese e la bassa considerazione che Trump sembra avere per l'ambiente, che rischia di far naufragare per l'ennesima volta i trattati internazionali di salvaguardia ambientale.

Altra cosa la questione interna, dove alcuni aspetti (come il mercato delle armi, la sanità, l'attenzione all'ambiente o i rapporti tra le classi sociali) potrebbero far tornare a tempi non vicinissimi.

Nel discorso di ieri, Trump ha già ammorbidito i toni e le borse hanno invertito la rotta negativa. Davvero i mercati si adeguano al nuovo padrone con grande rapidità.

Come da prassi internazionale, la campagna elettorale è una cosa, il governare un’altra. Non resta che vedere cosa farà da ora in avanti.

In ogni caso, la responsabilità (o il merito, a seconda dei punti di vista) della vittoria di The Donald, è in ampia parte di chi lo ha preceduto nel governare gli Stati Uniti, le conseguenze sono state il voto di martedì scorso.

E’ un campanello d’allarme anche per l’Europa? Probabilmente si.

Ultimo aggiornamento Giovedì 10 Novembre 2016 19:26