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Europa

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Autore: Flavio Gori

Negli ultimi anni, si è andata affermando una corrente di pensiero che nega qualsivoglia possibilità di sostentamento per i Paesi europei che volessero vivere al di fuori della Comunità Europea. Men che meno per chi, ora all'interno, se ne volesse distaccare a causa delle difficoltà strutturali che questa Unione Europea sta palesando.

Questo viene ripetuto con maggiore convinzione e ricchezza di dati, quando questa stessa Europa mostra i suoi limiti o, per meglio dire, evidenzia l'intendimento col quale è stata progettata e di cui adesso ci troviamo a conoscere nel dettaglio le conseguenze. L'avessimo capito prima, sarebbe cambiato qualcosa nelle fondamenta europee? Forse non sarebbe mai nata quell'idea d'Europa secondo cui, 'visto che non riusciamo ad accordarci per via politica, intanto uniamoci economicamente'. Questo il mantra che portò alla creazione di questo tipo d'Europa, forse dimenticando o sottovalutando, forse per la troppa fretta o forse per altro, alcuni aspetti importanti.

 

Quanto avviene in questi anni in alcune parti dell'Unione, è tipico di ciò che possiamo definire l'emergere di nuove forme di conflitto, molto pericolose per la convivenza civile e sociale del continente.

Come i fucili, anche la guerra combattuta a colpi di finanza, affama le persone, le uccide, soprattutto mette paura, tanta paura e psicologicamente mette le persone nelle condizioni di non fare qualcosa in contraddizione con quanto viene giornalmente detto e scritto da organi di stampa dove non sempre è agevole riconoscere l'informazione dalla propaganda.

Dov'è sempre più complesso trovare analisi fuori dal flusso principale, analisi in cui l'estensore sia in grado di recepire alcune piccole ma fondamentali sviste  (*Vedi Nota al termine dell'articolo*), perfino nei documenti ufficiali, senza le quali diventa difficoltoso capire dove si sta andando (1 e 2).

Queste sviste sono atti rilevanti e c'è da chiedersi perché così pochi osservatori se ne siano accorti. Ancor più interessante il fatto che quando questa svista è stata evidenziata da un giornalista del quotidiano inglese The Guardian, pochissimi altri l'abbiano resa pubblica.

Sostanzialmente, si tratta di questa parte:

‘Nei grafici presentati dalla Bce, la produttività viene espressa in termini reali, mentre i salari sono indicati in termini nominali. In altre parole, la prima serie di dati tiene conto dell'inflazione, la seconda no. Sarebbe come dire che 50 anni fa il pane costava 1 lira al kg e gli stipendi erano di 500 lire.’ (1)


Negli ultimi anni, l'ossessione per l'austerità (recentemente messa in forte discussione con l'evidenza di una serie di errori in uno degli articoli tecnici a suo sostegno - errori già riconosciuti anche dagli Autori) ha portato a politiche dove i tagli pesanti nella spesa pubblica hanno indebolito la capacità di spesa dello Stato, erodendo ulteriormente fiducia e legittimità, dando spazio a una combinazione di criminalità e politica demagogica.

Per questioni di mero vantaggio di classe, questa mescolanza si autoriproduce, innescando una dinamica che storicamente si è talvolta dimostrata difficile da fermare.

Negli ultimi 30 anni, a livello internazionale, si é affermato un nuovo tipo di economia politica che possiamo definire predatoria (in quanto tesa al moltiplicare il guadagno sull'immediato, non preoccupandosi delle conseguenze sociali, ambientali ed economiche  sul medio lungo periodo), che non conosce limite.

La sola risposta possibile é un'autorità politica in grado di opporsi a ciò che è il frutto di precedenti scelte o non scelte della debole classe politica che ha calcato le scene in questi decenni.

Fermo restando che opporsi a una simile potenza di fuoco prevede una competenza (e un'attenzione a ciò che si firma) non banale, la soluzione potrebbe venire non tanto dal rinforzare questa Europa, quanto piuttosto dal togliere forza a questa colonizzazione, a questa conquista che si avvale di armi diverse dai fucili, ma che ha la medesima mira: conquistare terre ed economie utili per il presente e ancora di più per il futuro dello Stato egemone e magari anche per quelle potenze economiche e finanziarie che traggono vantaggio dalle medesime situazioni.

Non si tratta di abbandonare il concetto di Europa a cui hanno lavorato giganti della scienza politica e sociale sin dagli anni '50 del secolo scorso. Piuttosto si tratta di prendere atto che il suddetto concetto di Europa é stato in seguito catturato e fatto proprio da politici ed economisti che si sono serviti di quelle idee per poi usarle in maniera del tutto diversa e a cui così tanti cittadini hanno creduto, spesso senza capire cosa si stava perpetrando e, in certi casi, senza voler vedere cosa si stava costruendo. In genere (specie in quest'ultimo caso) per mero calcolo di vantaggio personale.

Se la colonizzazione viene rafforzata dall'adesione più o meno consapevole dei colonizzati, siamo in presenza di una conquista impossibile da distruggere o anche semplicemente mettere in discussione. Un po' il concetto espresso da Maurizio Viroli nel suo saggio 'La Libertà dei Servi' (Laterza Editore 2010).

Se invece non solo vien messa in discussione, ma se alcuni dei colonizzati (termine usato, lo ricordo, dal Financial Times nella primavera 2012 a proposito di quel che la Germania stava e sta imponendo alla Grecia) escono dalla stretta mortale in cui sono stati costretti da alcuni Stati esteri interessati esclusivamente al vantaggio della propria Nazione - spesso nascosti sotto altre etichette - nonché da propri miopi e forse interessati governanti, allora anche e soprattutto quelle Cancellerie che hanno architettato questa Europa, avranno da preoccuparsi per venire a capo di quanto da loro stessi messo in atto. Sarà come togliere una o due gambe della poltrona su cui sono comodamente seduti.

Questo certamente non sarà una brezza rinfrescante (né lo sarà per gli Stati più forti) e dovrà essere supportato da una popolazione consapevole delle difficoltà a cui si andrà incontro, ma anche degli scopi che ci si prefigge, per lo meno fin quando non sarà a regime un nuovo mercato comune tra i Paesi che decideranno di farne parte, affrancandosi dal Fondo Monetario Internazionale le sue concessionarie locali.


Ma se uscirne non sarà un pranzo di nozze, si pensa forse che restando in questa Europa le condizioni di vita dei cittadini dei Paesi mediterranei - ora, e domani forse anche di altri  - saranno migliori? Al contrario il vantaggio potrebbe esser quello di liberarsi dal giogo che gli Stati e le economie più forti continueranno a tenere sul collo dei più deboli, grazie a un'arma formidabile: gli interessi sui prestiti e una logica europea a suo tempo ritagliata sulle esigenze del più forte. In virtù di tale logica, nessuno potrà scalfire l'egemonia del più forte per molti anni a venire, complice - minando il proprio futuro - l'incauto abbattimento del livello di scolarizzazione attuato nei Paesi meno forti economicamente e politicamente.

Liberandosi da questo giogo e quindi da questa logica, sarà possibile creare un mercato comune europeo e mondiale con quelle Nazioni che avranno deciso di formare un sistema economico integrato tra questi Stati e in grado di vivere senza il FMI e i Paesi da esso rappresentati, ovvero togliendo a questo Stati alcune dei sostegni fondamentali per far si che questi possano continuare le loro prepotenti scorribande locali e mondiali, tipicamente verso i Paesi ai quali impongono poi i maggiori sacrifici. Ovvero verso quei Paesi dai quali queste agenzie internazionali traggono il proprio sostentamento.

Se in grado di elaborare adeguate strategie di politica economica integrate tra i vari Paesi che faranno parte di questo mercato comune, dopo alcuni anni di assestamento sarà possibile arrivare a una forma di indipendenza economica che sarà la base di un'indipendenza politica e soprattutto culturale. Il fatto che tra i Paesi che potrebbero essere interessati a uscire dalla sfera del FMI vi siano Nazioni con caratteristiche di economia complementari e magari che l'economie dei vari Stati non presentino divergenze troppo elevate tra loro (un altro errore nella composizione dell'Europa Unita come noi l'abbiamo vista formarsi), fornirà la struttura di base necessaria alla formazione del mercato suddetto.

Molte sono le riflessioni che lo stato di cose in cui ci troviamo fa venire alla mente, sia di carattere strategico che tattico, di ordine morale e culturale.

Tra queste, la necessità di invertire il sistema che a prima vista paradossalmente prevede una sempre minore attenzione alla scolarizzazione dei propri giovani e conseguentemente una sempre minore capacità propositiva per il futuro di queste Nazioni. Una sorta di suicidio nazionale a cui pochi governanti sembrano interessati, come se volessero diminuire le possibilità di concorrenza ai propri figli da parte di altri, provenienti dalle classi meno agiate e che non possono permettersi le migliori scuole. A questo scopo, il continuo peggioramento del livello della scuola pubblica, risulta non solo necessario, ma fondamentale per mantenere e anzi accrescere la differenza tra le classi sociali ed economiche (nota 2).

La democrazia partecipativa è andata via via perdendo il significato di condivisione, prendendo sempre più quello di produzione e riproduzione di elite che a loro volta sono interessate solo al mantenimento del loro status per poi riprodurlo con le proprie generazioni future. Siamo quindi al replicare quei settori sociali una volte definiti nomenklatura o burocrazia del potere, a cui nulla interessa se non il loro status. Completamente a spese delle classi lavoratrici e produttive: dal più umile impiegato al massimo imprenditore concreto, ovvero colui che effettivamente lavora, produce e crea economia vera, non finanziaria.

Tutti gli altri, dai politici ai finanzieri, fanno parte di una elite sempre più piccola come numero, ma sempre più pervasiva in quanto a capacità di potere e costosa (senza dare contropartite di sorta) per chi produce e paga le tasse.  Un' elite che mi fa venire in mente il concetto di parassita.

 

 

 

 

 

Note:

 

1)"… Nei grafici presentati dalla Bce, la produttività viene espressa in termini reali, mentre i salari sono indicati in termini nominali. In altre parole, la prima serie di dati tiene conto dell'inflazione, la seconda no. Sarebbe come dire che 50 anni fa il pane costava 1 lira al kg e gli stipendi erano di 500 lire. Oggi gli stipendi sono di 1.000 euro, quindi si può comprare molto più pane. “Dimenticandosi” di segnalare che il pane nel 2013 non costa 1 lira al kg.

Se si prendono dati omogenei, le cose cambiano. Parecchio. Anche considerando un'inflazione al'1,9% annuo (obiettivo fissato dalle stesse istituzioni europee), tra il 2000 e il 2012 occorre tenere conto di un fattore correttivo intorno al 28%. Tenuto conto che l'inflazione, in particolare nei Paesi del Sud Europa, è stata in media molto superiore, la correzione da apportare è ancora maggiore. Se consideriamo produttività e salari o entrambi al netto dell'inflazione o entrambi con l'effetto dell'inflazione, scopriamo che in molti Paesi del Sud salari e produttività vanno di pari passo, mentre è in quelli del Nord, Germania in testa, che la forbice si allarga sempre di più, ma a discapito delle retribuzioni dei lavoratori.

In altre parole, non c'è nessun eccesso di Stato sociale, nessun diritto dei lavoratori da rimettere in discussione, nessun sacrificio da chiedere a chi ha già pagato un caro prezzo per una crisi nella quale non ha alcuna responsabilità. E' dall'altra parte, nel Nord Europa, che alcune nazioni hanno sistematicamente violato gli impegni europei, hanno intrapreso una aggressiva politica di svalutazione salariale, e hanno improntato i rapporti nell'UE a una competizione sfrenata sulla pelle dei lavoratori, in barba ai proclami di collaborazione e alla stessa idea di “unione” europea.

Con questi dati, corretti della piccola “svista” sull'inflazione, la Bce di fatto conferma quali siano le responsabilità della crisi. Come, prima di tutto, i mostruosi debiti creati dalla finanza speculativa siano stati trasferiti agli Stati, poi da questi ai cittadini. Oggi non c'è nessun altro su cui scaricarli. Siamo rimasti con il cerino in mano e dobbiamo pagare il conto. Ed è un conto estremamente salato proprio in termini di tagli al welfare e allo Stato sociale, disoccupazione, precarietà e rimessa in discussione di diritti dati per acquisiti. Ma per non farci protestare troppo ci sentiamo ripetere quotidianamente che è pure colpa nostra. E che dobbiamo stringere la cinghia per “restituire fiducia ai mercati”.

Ricordiamo che l'Fmi, nei suoi ultimi studi, riconosce che le politiche di austerità in una fase di recessione non fanno altro che aggravare i problemi. Diminuisce la spesa pubblica, quindi il Pil, e molto spesso questo calo non è compensato da una analoga diminuzione del debito pubblico. Il risultato, oltre a una devastazione sociale, è un peggioramento proprio di quel rapporto debito/Pil che si pretende di diminuire

da: Se la troika ascoltasse la troika

 

2) Allargando il discorso, possiamo dire che sulla stessa scia è chi postula la necessità di sganciare i partiti dal finanziamento pubblico. Con questo metodo è fin troppo chiaro che solo chi ha ampia capacità finanziaria potrà permettersi di fare politica o, ancora più subdolamente, potrà decidere la politica del proprio Paese semplicemente dando finanziamenti a un candidato anziché a un altro. Ovvero dando soldi a chi accetterà di fare quelle politiche che sono utili a mantenere - e magari ampliare - la differenza sociale tra chi ha i soldi e chi non li ha. Vengono in mente scenari in varie parti del mondo, anche occidentale, dove i candidati arrivano al successo solo in base a quante volte appaiono in TV con spot che costano carissimi e quindi non tutti se li possono permettere.

E' quantomai opportuno riflettere su questi aspetti in modo da valutare meglio quei politici che al contrario si battono per far cessare il finanziamento pubblico cercando di farlo passare per un risparmio per la collettività: è l'esatto contrario.

Il fatto che in precedenza i finanziamenti pubblici in molti casi siano stati mal usati, deve essere fonte non solo di riflessioni ma di azione da parte della magistratura, ma non possiamo per questo buttare a mare un aspetto base della Democrazia, col rischio concreto di ritrovarci tra le mani il cadavere della Democrazia.

 

 

Bibliografia:

 

[1] Mario Draghi - “Euro Area Economic Situation and the Foundation For Growth” - Studio presentato all'euro summit il 14 marzo 2013

[2] Andrew Watt - “Is Europe's central bank misleading us over who's to blame for eurozone crisis?” - The Guardian, 27 marzo 2013:

3) Traduzione ripresa da Sbilanciamoci.info

Ultimo aggiornamento Lunedì 13 Maggio 2013 10:31