Può fare qualcosa il Partito Democratico per la Sinistra Italiana ed Europea?

Giovedì 02 Agosto 2012 10:53
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Autore: Flavio Gori


Negli ultimi anni, la frequentazione di un Social Network come Facebook mi è stata utile per intavolare e partecipare a una serie di discussioni che spesso avevano come base il ruolo del Partito Democratico (PD) e le sue radici (Partito Comunista Italiano = PCI >> Partito Democratico della Sinistra = PDS >> Democratici di Sinistra = DS) nel crepuscolo della Sinistra in Italia.

Oltre a essere discussioni tra appassionati più o meno convinti di quell’area, tale scambi d’idee andati avanti per molti mesi fra un buon numero di persone e mischiato talvolta ad altri incontri e riunioni di persona, si potrebbe pensare che questi incontri virtuali fossero utili anche in vista dell’appuntamento elettorale del 2013 con il proposito di capire come siamo arrivati – come sinistra - fin qui e quel che dovrebbe esser fatto per recuperare il voto dei delusi, di quelli che pur provenendo dalla sinistra, adesso albergano nel partito del non voto o in qualche altra formazione, più o meno populista con cui si corre il rischio di restare alla discussione da bar con il più tipico degli slogan da bar: vanno cambiati tutti!

Bene, ma con chi vanno sostituiti per esser ragionevolmente sicuri di non passare dalla padella nella brace?

Oppure con il corollario del precedente slogan: tutti a casa dopo 2 legislature.

Ma perché, voi cambiate il vostro medico dopo un tot di anni indipendentemente dal suo valore? Io lo cambio dopo 15 giorni se non mi pare valido, ma lo tengo per tutta la vita se dimostra di essere un professionista serio, capace e competente. Perché dovrei comportarmi in maniera diversa col mio avvocato o con l’ingegnere che mi costruisce la casa? A maggior ragione perché farlo col politico a cui affidiamo non solo il nostro presente ma anche le fondamenta del futuro nostro e dei nostri figli?

Ecco, questi slogan mi paiono figli del populismo spicciolo che ha caratterizzato gli ultimi 20/25 anni della nostra vita politica e sociale e dimostrano come non ce ne siamo ancora liberati, al punto che per curare la malattia scegliamo lo stesso virus che l’ha generata e quindi con la concreta prospettiva di peggiorare la già critica situazione. Non ci dobbiamo sorprendere.

Il concetto di curare la malattia col virus che l’ha generata, lo prendiamo per buono anche quando pur avendo sotto gli occhi che la crisi finanziaria che stiamo vivendo è stata innescata dai debiti che le banche hanno creato con miriadi di investimenti sbagliati (spesso conditi da super stipendi degli stessi manager a cui dobbiamo questi debiti) e noi – che così già abbiamo visto dilapidare i nostri risparmi - come rimedio scegliamo di coprire i debiti delle banche coi soldi dello Stato (nostri e quindi paghiamo per la seconda volta errori altrui) e accettiamo di dare in mano ai banchieri ruoli fondamentali dello Stato. Un paradosso a cui neanche Achille Campanile avrebbe pensato.

Un altro argomento di base delle numerose discussioni a cui ho partecipato è relativo al ruolo del PD. Il punto focale si evidenzia con una domanda fin troppe volte fatta ma tuttora necessaria: è un partito di centrosinistra o di centro?

Per rispondere possiamo usare quella sorta di specchio che è la percentuale di preferenze che i sondaggi hanno riconosciuto al PD negli ultimi anni.

A fronte (e dopo) di uno dei peggiori governi del dopoguerra, il PD in quanto maggiore partito dell’opposizione, non è riuscito a capitalizzare la debolezza dei partiti di governo, restando ancorato a valori che oscillano tra il 25 e il 28%, sembrando quindi più una sorta di partito simbolo (coerente in questo con la sua derivazione PCI) al quale è certo affezionato un buon numero di elettori;

possiamo dire che è un partito che smarrisce meno voti di altri, ma anche che è sembrato incapace di attrarre simpatizzanti in numero proporzionale al malgoverno che si trovava a contrastare.

Come mai? Secondo qualcuno il PD pur essendo considerato come uno dei pochi partiti strutturati a livello nazionale, non viene percepito come partito che propone una politica alternativa a quella di questo governo. Ciò significa che o lo si identifica con le politiche che il governo ha espresso o che non ha fatto abbastanza per contrastarle e diversificarsi in termini di proposte. Eppure tra la gente la richiesta di una politica diversa è forte fino al punto che movimenti nati dal nulla pochi anni fa, sembrano sulla scia delle percentuali del PD, dopo aver superato quasi tutti gli altri schieramenti, parlamentari e non.

Le radici di questo comportamento sono da ricercare in ciò che ha portato alla svolta della Bolognina e la confusione, l’incertezza che da allora ha contraddistinto gli eredi di una della più importanti storie politiche del mondo occidentale del secondo dopoguerra: quella del PCI.

Dopo qualche anno in cui sembrava incapace di decidere - e poi seguire - una linea, il PD è stato preso in mano da un segretario, Pierluigi Bersani, che pur tra qualche errore e contraddizione (anche recente e non da poco) sembra stia lavorando con serietà e competenza anche oltre il livello nazionale. Per fare questo coinvolge e talvolta costruisce la struttura - centrale e periferica - che un grande partito deve avere e mostrare, in termini politici, organizzativi e di conoscenza del territorio in cui si trova a operare.

Non arriva spesso sulle prime pagine, né è un personaggio che ambisce a bucare gli schermi.

D’altro canto un politico è necessario che sia una persona seria e competente e solo la deriva populista degli ultimi 20 anni ha fatto credere a fin troppe persone che per un buon politico dovesse essere uno showman. Errore grave.

A me che sono un non esperto - come molti degli elettori - gli eredi del PCI sono a suo tempo sembrati non aspettare altro che di buttare a mare la loro precedente esperienza, convinti che fosse non solo perdente sul momento e in chiave futura, ma che non vi si fossero mai del tutto realmente riconosciuti (qualcuno l’ha anche detto apertamente). Questo non aiuta a percepirli come politici credibili, affidabili: in una delle due esperienze, così diverse, ci hanno detto cose in cui non credevano.

Da quel momento (e forse anche qualche anno prima) hanno accettato molto dell’accettabile come volessero costantemente dimostrare il loro pentimento, una volontà di espiazione, l’accettazione acritica di tutto ciò che l’occidente proponesse: sia che si trattasse di socialdemocrazia, che di liberismo. In qualche caso si è arrivati a concordare sulle conclusioni di Francis Fukuyama e la sua fine della storia. (1)



Il problema delle fonti

Finché tra i partiti in parlamento vi sono visioni globali diverse da cui ottenere e confrontare dati, idee e analisi che consentano non solo letture ma proposizioni indipendenti della realtà politica e sociale, la discussione è proficua e in grado di portare a risultati utili all’avanzamento sociale, mediando su almeno due visioni più o meno contrapposte.

E’ quanto è avvenuto in Italia per diversi anni dopo la seconda guerra mondiale.

Quando invece le fonti ispiranti sono le stesse sia  – poniamo - per il centrodestra che per il centrosinistra, finisce che le differenze, se ci sono, perdono buona parte della loro presunta e/o dichiarata impronta politica di base o, per meglio dire, se ne discostano per posarsi su una visione sostanzialmente comune.

Se i riferimenti delle varie forze politiche italiane (non tanto come informazione sulle idee dell’avversario politico, ma come ispirazione delle proprie politiche) diventano quelli di alcuni centri studi politici e sociali – nonché economici - del nord-atlantico, diventa problematico, per i vari partiti, proporre politiche diverse nella sostanza.

Se poi non vogliamo fornire alternative, anzi ambiamo a esser riconosciuti e apprezzati dai governi occidentali come amici, affidabili rispetto alle idee e le politiche che questi propugnano, pensando che solo così avremo il riconoscimento internazionale che ci consentirà di governare a casa nostra, la diversificazione delle rispettive proposte politiche può diventare difficile da evidenziare.

Questo potrebbe sembrare un’estremizzazione del concetto che ‘non basta il 51% per governare’, di cui parlava Enrico Berlinguer, anche se lui si riferiva a un problema specifico, particolarmente evidenziato a quei tempi dal golpe cileno del 1973.

Un’ipotesi meno confortante è che si tratti di un’abdicazione culturale prima che politica, che rischia di appiattire la dialettica e di apportare cambiamenti marginali, non di sostanza a politiche d’impronta non progressista, tese a gratificare soggetti non interessati che al ritorno economico immediato, come i mercati.

Di regola uno Stato deve avere una visione molto più ampia e lunga nel tempo rispetto ai mercati, per cui non sempre è chiaro il motivo per cui la politica debba stare così attenta alle richieste dei mercati e non imponga a questi un diverso modo di valutare le azioni degli Stati.

Direi che i mercati non dovrebbero valutare gli Stati o le monete o le commodities di carattere alimentare con gli stessi strumenti che usano per valutare un’azienda industriale o commerciale.

Ci sarebbe un’altra possibilità, sicuramente più rilevante ma che comporterebbe una politica da sostenere su base nazionale e internazionale:

riprendersi l’indipendenza dai mercati, rivendicando la dipendenza dei mercati dalla politica. Potrebbero essere queste ipotesi un punto cardine del progetto politico di un grande partito europeo come il PD? Credo di sì.

L’agire incerto e zoppicante di larga parte della sinistra in genere, mi pare sia quel che è avvenuto da 20 anni a oggi e credo possa aver contribuito alla disaffezione di una parte degli elettori che in una certa misura sono andati a ingrossare le fila del non voto, cosa di rado avvenuta negli anni precedenti, quando questo disinteresse era principalmente patrimonio della destra e ancora più spesso di altre nazioni (ad esempio gli Stati Uniti). Si dice spesso che il PD ha la colpa maggiore di questo allontanamento.

In quanto partito erede della maggiore forza politica dell’opposizione sin dalla fine della seconda guerra mondiale, questo può in effetti essere possibile, ma se il PD con la sua politica si è spostato al centro, ha di conseguenza lasciato un ampio spazio nella sinistra che sarebbe potuto essere occupato da un partito o da un movimento di questa parte che avesse concrete proposte politiche da avanzare. Nell’arco di una ventina d’anni, non mi pare si sia verificato. Piuttosto ci si è spezzettati in una serie di partitini che non sono riusciti a trovare una sintesi comune, né di conseguenza, una credibilità che permettesse loro di ottenere il successo elettorale necessario se non per vincere le elezioni, almeno per influenzare la cultura e la società italiana.


Possiamo allora dire che di errori a sinistra – come a destra - ce ne sono stati, ma sono comuni a molti partiti, non solo al PD. Forse errori diversi, ma comunque pagati nelle varie tornate elettorali. Riconoscerlo è un volersi fare del male? Secondo me no. E’ una necessaria analisi per evitare di ripeterli in futuro, provando a vincere.

Adesso la questione è come parlare e riavvicinare gli elettori per riuscire ad accrescere la fiducia in questa parte politica, aumentare il numero degli eletti per contare di più in parlamento e non essere troppo influenzabili – ad esempio - dalle richieste di piccoli partiti del centro autodefinitosi ‘cattolico’ che, pur avendo da anni e anni un peso elettorale limitato, riescono a condizionare un po’ troppo la linea politica del PD e di conseguenza, limitare l’influenza della cultura e della politica di sinistra in Italia.

Questo perché a mio parere un’altra domanda prioritaria è la seguente:

può la sinistra tornare a governare in Italia senza l’apporto degli elettori del PD? Per quanto abbiamo detto poco sopra, la mia risposta è no.

Il punto diventa allora come fare per riportare questo partito nell’alveo della sinistra, abbandonando le sirenine del centro.

Una delle possibilità potrebbe essere quella di riportare a collaborare con il PD una buona parte degli elettori di sinistra, in modo da influenzare le politiche di questo partito sin dalla base. Naturalmente la stessa cosa potrebbe esser fatta, anche come atto di buona volontà, da parte di tutte quelle persone che al momento si riconoscono nel partito del non voto, anche a causa dei problemi dei partiti di sinistra cui sopra si accennava.

Un lavoro non facile ma che potrebbe esser fatto anche perché sono certo che così facendo si potrebbero risvegliare tutte quelle persone genuinamente di sinistra che tuttora albergano (un po’ insonnolite) nel PD. Sarà possibile dare la scossa necessaria a far tornare il PD a sinistra? Dipende anche da quante persone faranno questo passo, dalla loro competenza e dedizione.

Questo però non significa che solo questa sia la mossa necessaria e sufficiente. Al contrario ne vedo almeno un’altra: il continuare un serio lavoro di opposizione di sinistra da parte di tutte quelle forze che agiscono all’esterno del PD (e ultimamente anche del parlamento) in modo da prendere a tenaglia l’attuale dirigenza del PD, in modo da “costringerli” – con idee e proposte - a rivedere una serie di mosse e di politiche che sempre più hanno avvicinato questo partito verso il centro, pur senza esserne gratificato dagli elettori di questa parte politica.

Alle varie elezioni (locali e nazionali) abbiamo spesso assistito a un vero paradosso: la dirigenza PD, più perde voti con le sue alleanze di centro e più accentua la sterzata verso il centro. Nonostante che spesso quando si presenta con un’alleanza di sinistra si ritrovi a vincere, nella successiva tornata elettorale torna a guardare al centro, ritrovandosi nuovamente a perdere.

Curare la malattia col virus che l’ha generata. Un po’ quanto avviene nella ‘cura’ della crisi finanziaria che ci attanaglia in questi anni. Si vede che questo è quanto è stato preso a modello di terapia ma vediamo anche che non è mai in grado di raggiungere il risultato. Almeno non quello che ufficialmente si propone.

L’obiettivo che la sinistra dovrebbe porsi è quindi di ridare spazio a politiche di sinistra nel PD andando a riprendere un rapporto con chi ha perso la fiducia nei partiti, con chi non crede che in questo partito ci sia la volontà di fare una politica seria, genuinamente progressista e concettualmente alternativa alla destra. Questo significa allargare la base di sinistra in questo partito, punto basilare per poter far si che esso torni a essere un motore propulsivo per la sinistra.

Prima delle prossime elezioni il PD dovrà guardarsi dentro e decidere da che parte vuol stare, quali interessi vuol difendere e deve farlo in maniera chiara e trasparente. Definitiva.

Non sempre questo sembra avvenire con la necessaria coerenza: ad esempio nel marzo 2012 Pierluigi Bersani ha firmato con Francoise Hollande (capo del partito socialista francese e di lì a poco presidente della Repubblica Francese) e Sigmar Gabriel della SPD (socialdemocrazia tedesca), un accordo-manifesto d’impronta socialdemocratica in cui si dichiara la contrarietà al Fiscal Compact (sostenuta da alcuni ambienti monetaristi europei, in particolare tedeschi) in quanto strategia conservatrice e pericolosa.

Nello stesso periodo a Roma il PD assicura però il sostegno al governo Monti e le sue politiche sempre meno tecniche e orientate a prendere il Fiscal Compact come uno dei punti fondamentali della bussola politica.

Queste posizioni rischiano di portare una parte degli elettori a identificare il PD come co-responsabile di una situazione politica ma ancor più economica e sociale molto difficile proprio per le classi che il partito di Bersani da una parte dichiara di voler salvaguardare, ma dall’altra non lo fa, votando le politiche di impronta contraria che il governo mette in atto. Si limita a qualche  ammorbidimento, senza indicare quali siano i passi successivi che da queste dolorose scelte potranno prendere le mosse per far migliorare la qualità della vita anche per chi ora, ceto medio e basso, paga per tutti.

L’evolversi della situazione da qui al 2013 non promette miglioramenti e se una già grave situazione, dovesse ulteriormente appesantirsi, la posizione del partito democratico potrebbe essere a rischio concreto per la vittoria nel 2013 vanificando una posizione di possibile primato elettorale antecedente all’insediamento del governo Monti.

Non sarebbe la prima volta. E’ già successo col governo monocolore DC con astensione del PCI che fu presentato in parlamento la mattina del rapimento di Aldo Moro, il 16/3/1978.

Anche allora fu fatta una scelta difficile per garantire la governabilità, ma in certe condizioni questa può diventare una trappola che porta a sconfitte strategiche difficili da recuperare nel medio periodo come in effetti avvenne dopo il 1978 e che fu tra i motivi che condussero alla plateale marcia dei 40.000 dipendenti FIAT da cui penso si possa far partire una nuova stagione politica per il nostro Paese e che situo all’inizio di quella strada che condusse a una successiva sconfitta arrivata su una situazione che per altri versi poteva essere favorevole.

Intendo parlare di quella che avvenne nel 94, dopo l’inchiesta ‘Mani Pulite’ (che in seguito a tutta una serie di casi di corruzione aveva distrutto vari partiti, lasciando sostanzialmente indenne il PCI), quando il vento anti partiti seguito all’inchiesta di cui sopra portò alla sorprendente (anche per chi vinse) vittoria Silvio Berlusconi e il suo partito ‘Forza Italia’ nuovo di zecca.



Uscire dal populismo con un altro populismo (adeguato ai tempi ma neanche poi tanto).

Per certi versi possiamo dire che Berlusconi usava le sue tv come ora qualcuno fa col web, ovvero per lanciare pesanti e talvolta selettive accuse contro la partitocrazia.

Ma qualcosa del genere fa anche qualche nuovo politicante che usa un po’ tutti i mezzi di comunicazione che gli vengono generosamente messi a disposizione per sparare bordate di slogan di facile presa in un periodo in cui una politica non certo esente da errori è ai suoi minimi livelli di popolarità, ma lo fa senza una chiara proposta che non sia la sostituzione dei dirigenti attuali con altri. Di programmi concreti per quello che è il futuro della terza potenza economica europea (non dimentichiamo di cosa stiamo parlando) non se ne vede traccia.

Il rischio che abbiamo davanti è che chi decide l’esito elettorale lo fa spostando il suo voto da un populista all’altro, riuscendo a sconfiggere ancora una volta quello che da qualche mese è il maggiore partito italiano, che ricadrebbe in quella sorta di trappola chiamata governabilità o, per meglio dire, della gestione che di questa si fa.

Ci sono altri aspetti che lasciano interdetti: ad esempio l’enfasi del PD che troppe volte dimostra nell’essere appiattito su una visione del progresso legato ai grandi lavori e le grandi opere, fin troppo simile alle indicazioni per il futuro rispetto ad altre visioni, di diversa parte politica, confermando quella sensazione – sempre più diffusa tra la gente (ovvero tra gli elettori) che chiunque vinca, vincono sempre gli stessi.

E quindi scarso rispetto dell’ambiente e della salute, sotto il ricatto del lavoro. Possibile che si debba essere ricattati tra avere uno stipendio o la salute? E’ questa una scelta normale da proporre ai lavoratori (con qualunque tipo di colletto, perché l’aria la respiriamo tutti)?

Agli antipodi di questo tipo di sviluppo troviamo l’attenzione, il rispetto e la cura dell’ambiente, del territorio e del paesaggio come questione fondamentale alla quale – i referendum del 2011 lo dimostrano - sempre più persone prestano attenzione.

Tutto ciò indica la necessità di non pensare a un solo tipo di sviluppo che si identifica nel PIL e nella crescita continua, che è difficile da ipotizzare in un pianeta finito e che già ora, se anche altri grandi paesi del mondo, consumassero quanto l’occidente, non sarebbe possibile.

Tutta questa voglia di fare include una contraddizione: c’è una necessità oggettiva che prevede e permette anni di lavoro per molte persone e aziende in tutto il Paese senza richiedere ulteriore diminuzione di aree verdi: la messa in sicurezza in chiave antisismica delle abitazioni e dei luoghi di lavoro. Eppure pare che nessuno pensi a questa esigenza, dalla quale scaturiscono (l’abbiamo visto nei più recenti terremoti che hanno colpito il nostro Paese) costi elevatissimi in termini di vite umane e di denaro.

La messa in sicurezza sismica, può essere parte del piano di rilancio che il PD propone per l’Italia?

Qui a mio parere si gioca il futuro che vogliamo dare al Paese, il tipo di sviluppo per cui operare e di conseguenza il risultato delle prossime elezioni, che reputo fondamentali per i prossimi decenni: restaurazione completa o inversione di tendenza.

Il territorio – come l’acqua - è un bene comune primario sul quale costruire un diverso futuro economico e sociale del paese e come tale va salvaguardato.

Questo è in grado di portare lavoro e benessere senza doverlo pagare con un inquinamento che alla lunga pagheremo tutti, rendendo molto difficile la vita ai nostri figli e ai nostri nipoti.



Basta con le toppe. Pensiamo a un nuovo vestito. Di qualità.


Da decenni la politica italiana lavora per l’immediato, mettendo toppe a una serie di situazioni che man mano che gli anni passano diventano sempre più difficili da gestire.

Diventa allora necessario - ma anche importante per ridare fiducia - elaborare una proposta chiara e omogenea per il futuro a medio e lungo termine. Un progetto comune dove far riconoscere elettori e cittadini e su questa andranno calibrate le scelte che questa parte politica, la Sinistra e il centro sinistra, andranno a proporre a livello locale e nazionale, indicando i tempi di realizzazione e i relativi passi intermedi.


Se il PD si candida per governare la terza potenza economica europea deve avere le forze per proporre la sua visione del Paese nel futuro senza farsi tirare per la giacchetta da interessi particolari e/o divergenti. Né deve essere strumento di concetti economici e finanziari che hanno palesato la loro incapacità a gestire l’economia e la politica a livello planetario. E’ necessario uno scatto che dimostri capacità e coraggio politico ma prima di tutto deve possedere, e mostrare, indipendenza culturale.

Non intercettare qua e là desideri slegati l’uno con l’altro, ma proporre una visione con una solida struttura di base da costruire grazie alla collaborazione con la cittadinanza, dal basso, il che potrebbe essere una buona occasione per dimostrare che il basso e l’alto sono concetti che è opportuno superare in favore di un modo più poroso di procedere nella collaborazione per uno scopo comune.


Coinvolgendo i livelli locali il PD potrà ritrovarsi fra e con la gente – aspetto fondamentale per un partito ‘democratico’ - incrociando quelle capacità che esistono dentro e fuori dal PD e cercando di coinvolgerle nella propria visione, integrandola con quelle proposte e idee che potranno emergere dal suo esterno, offrendo loro quel tipo di organizzazione, struttura e forse di credibilità a livello nazionale ed europeo che  il PD può ancora dare.

In questo modo il Partito Democratico potrà ottenere e stabilizzare la posizione che gli compete nel panorama culturale, politico, economico e sociale a livello locale, nazionale ed europeo.


Ma sceglierà la sinistra o traghetterà definitivamente la sua gente verso altri lidi?

Ultimo aggiornamento Sabato 01 Settembre 2012 13:18